jueves, 11 de septiembre de 2008


sachiko kodama



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Máquinas&almas Digital art and new media



http://www.museoreinasofia.com/s-artistas-contemp/home.php

The most beautiful thing we can experience is the mysterious. It is the source of true art and true science.

Albert Einstein.

Museo Nacional de Arte Contemporáneo Reina Sofía; exposición temporal hasta octubre 2008.

Immagina uno spazio mágico, dove niente sembra vero, dove tutto diventa gioco. Cosí è lo spazio della mostra Máquinas&almas. Uno spazio ovviamente controlato, con un percorso molto particolare. sebbenne ci troviamo davanti a una strada comune in montagna piena di curve di forme, appunto, ORGANICHE (parola d’ordine in questa mostra). Forme e curve che si muovono in un buio quasi religioso –nel senso egiziano della parola, come ben si conosce il tempo egiziano si svilupava in modo di creare un viatico in cui quanto piú vicino eri al sancta sanctorum piú scuro, piu chiuso era lo spazio-. In questo caso la scuritá serve per presentare la magia delle opere dinamiche in quella fusione di arte e scienza di cuí ci parla Einstein. Si trata di quel MISTERO che ci porta con curiositá a capire cos.a ci offrono gli artista presenti.

Tanto per cominciare di una parte, faró il mio percorso nella mostra soltanto un punto di vista, totalmente soggetivo non volendo fare altro che parlare di ció che suggeriva in me ogni opera, ogni passo nel sentiero delle scoperte.

Cosí, con coraggio, inizia il nostro percorso. Sachiko Kodama (Shizuoka, Japan, 1970), con un’opera chiamata Breathing caos, 2004. Uno schermo dove possiamo vedere il trionfo del ORNAMENT verso l’ARGUMENT –bataglia che ho potuto vedere grazie al prof. Tusini[i], dell’universitá di Bologna- ma soltanto è uno anunzio di ció che verrá presto appena giriamo un nella prima curva ormai immersi nel buio. Nello schermo delle forme fluide di mercurio quasi come se fossi una computer grafica si muovono creando dei pattern interattivi dove tutto diventa movimento. Sia il pattern sia il movimento la conquista dello spazio che in altro tempo era dominio assoluto del ARGUMENT ormai è diventato qualcosa di aperto. Un respiro caótico che si apre strada di modo deciso, con i calcoli precisi della sicenza appilicate a delle idee frutto di una contemporaneita palpitante desiderosa di crescere di mouversi di interattuare. Un soffio fondamentale che l’arte aveva bisogno. Ma questo non è una cosa nuova già ci sono degli esperimenti in questi termini a partire degli anni cinquanta dello scorso secolo. Basta ricordare le opere di artisiti italiani come (cerca quello fatto con mercurio di MARCONI???).

Ma come dicevo è soltanto un preanunzio di ció che sta per arrivare una volta giri a destra in quella strada delimitata da tende nere che lasciano intuiré, in un certo senso, ció che c’è al di là –di nuovo quel mistero, che ci porta alla curiositá, curiositá che si vede riempita di stimoli-. La prima cosa che salta alla vista è un terribili avviso, che parla della parte scientifica fondamentale di questa mostra, versa cosí: “le persone con bypass, per favore, tenersi lontane da questa zona, perlicolo di radiazione negativa”. Dopo di ché, vedi un cilindro in una struttura pseudoscultorica, una vera istalazione. Un cilindro aperto nel bel mezzo, ed è lí dove sucede la magia. Il PATTERN decide che la 2D non li basta e con passo deciso entra nella 3D Flatland che cresce si gonfia tutto organicitá. Tutto movimento. Il mettallo in stato liquido grazie a delle forze eletromagnetiche crea delle forme gonfiate, geometriche, bellissime, organiche naturali. Un metallo che respira proprio che si fa vivo.

Ci sono altre due istalazione di Kodama, piú piccole, ma sempre nella stessa retorica, in questo caso il materiale, nuovamente pericoloso –TOSSICO, dice l’avviso-, si configura di tal modo che appariscono dei volcani con quelle forme, quelle onde tridimensionali, motivo delle mie riflessione. E queste opere sono davvero magiche, davvero tecnologiche, davvero uniche piene di significati di come il mondo dell’arte si muove nella ricerva di un arte dove non solo serve la settecentesca bellezza, altri sono gli interesi, è l’interattività, è l’organico, è la scienza –anche se, questa sempre è andata accanto all’arte, basta ricordare Leonardo-, è la vita.

Ma sará meglio proseguire per il nostro percorso. Un nuovo elemento fondamentale anche entra in giouco, la LUCE, che viene offerta in un primo momento presso l’artista inglese Paul Friedlander (Manchester, England, 1951) con le opere Wave Function, 1991-2007, The enigm of light, 2008; e finalmente, Abstract cosmology, 2008. Niente si lascia al caso ed i titoli sono fondamentali hanno delle parole precise e chiare non solo per capire le opere –ci sono delle persone che ancora dicono di non capire l’arte contemporaneo, dunque gli artista cercano di aiutarli con dei titoli precisi- ma anche sono parole che definiscono una realtá, il mondo i cui si muove l’arte già abbiamo visto Breathing ossia la vitta, il Flow ossia il gonfiarsi. Ora abiamo L’ONDA, la LUCE, come l’ASTRATTO.

Quel Onda sono dei fili che si mouvono caoticamente, per una base elastica avviata per piccoli motori. I fili sono di diversi colori stridenti (neon, quei colori che giá negli anni 60 del ventessimo si usavano regularmente e che oggi abbiamo ovunque, nelle discoteche, nelle machine, nella publicitá) Fili che descrivono diverse linee, ma che mai si incrocciano, piccole variabili che sono il fondamento di quel piccolo KAOS.

Nel caso della LUCE, ricordate Newton e la sua scoperta della deframentazione della luce attraverso un cristalo, vero?, ora pensate in un dipinto típico del manierismo, in quanto a formato, cioé piú alto che largo. Bene, ora metete in quell’immagine dei prismi di critallo e sopra una luce direzionata a quei prismi. Ora vedrete che la luce entra si rompe nei diversi cristalli, creando degli effeti quasi gotici –il gotico potreve pensarsi come un perido di luce, che condiziona lo spazio, grazie allo sviluppo dell’architettura técnica, il muro perde il suo uso, e si possono meteré delle grande vetrine, piene di colore, per creare uno spazio vicino a quello che dovrebbe essere il Paradiso, almeno cosí la pensavano in quel momento-. Ma in questo caso la luce non cerca di creare un ambiente, in questo caso la luce cosí che la sperficie 2D cambie continuamente, con un pattern visuale, intangibili, di luce framentata e prismi materici di cristallo. Ancora ci siamo nella rivincita del PATTERN, è tempo di pensare su quel pattern. Riflettere sul nostro mondo grazie a quelle forme dinamiche che non ci disturvano con ARGUMENT discontinui.

Ma poi abbiamo ASTRATTO, che entra in comune rappoto don la luce, una cosmología che gira, come l’universo, come delle gallassie, in continua espansione. Una cosmología in spirale che gioca con pattern di luce ma che creano addirittura, dei numeri delle lettere, delle parole ben precise, agruppate, peró come se di un ornamento si trattasero. Poi guarda caso si scoprono a terra, se guardi quella spirale che pende dal tetto e si muove con la luce proietatta su di questa niente affato di fa pensare che lí ci siano delle parole, dei numeri, ma ci sono èccome. Se l’astrazione parte dalla realtá per poi appunto astraersi, qui abbiamo il processo alla rovescia. Da una luce che sembra astratta troviamo un significato preciso, un significato che addirittura è scientifico, sono dei dati –neopositivismo? Sicuramente. Ma abbiamo quel SEMBRA che sempre è prensente, sará per la nostra capacitá di asociazione di concetti-. Dimenticavo ora che parlo di asocizione, una che súbito mi vino in mente quando guardavo quest’opera, non è altro che la spirale che restringe quel spirale che usava Yayoi Kusama in uno dei suoi dipinti iniziali ma credo che qui si usa diversamente, se la Kusama cercava di restringere, qui si cerca di espandere di invadere tutto, e non c’è niente da fare, il pattern conquista, la vita si muove.

La luce continua essendo protagonista, e con quella le ombre –ci sono delle lampadine rovinate che collegati tra di esse creano una sorta di muro o parete traslucida, sulla quale una potente luce si proietta. Con questo e giàcche le lampadine per la sua natura è geometria non si prestano a una facile unione, abbiamo un gioco di ombre –in cui, questa volta sí, segue la retorica di creazione d’ambiente propria del gotico, anche se, invece di la luce, quello che importa di piú sono le ombre. Il Ying che vince al Yang- ma devo dire una cosa, tutte le persone che vedevo soltanto guardavano quel muro, dimenticavano l’ambiente in cui si muovevano, dimenticavano le ombre, ancora c’è molto da fare dobbiamo cambira lo chip con cui guardiamo l’arte. Dimenticavo dire che l’artista di quest’opera è lo spagnolo Daniel Canogar (Madrid, Spain, 1964).

Ora andiamo verso un’altro tipo di opere che tocano in un certo modo il ready-made, di tradizione dadaísta, ma dove la técnica piú innovativa –mi riferisco ai sensori di movimenti- si unisce a una interattivitá incredibili. Sono le opere di Daniel Rozin (Jerusalem, Israel, 1961). I titoli delle tre opere che si espongono sono molto espliciti: Circle Mirror, 2005; Weave Mirror, 2007; Trash Mirror, 2002-2008. Abbiamo un’altra parola chiave MIRROR, guarda caso anche vediamo ONDA (questo ci parla della coerenza che c’è nell’arte, anche se è soltanto un piccolo esempio, ma esiste davvero, basta saper trovare in mezzo al CAOS le variabile precise). In Circle Mirror, abbiamo un quadro che in inizio sembra soltanto il típico dipindo neoastratto decorativo, in cui un pattern ornamentale a base di cerchi configura la superficie. Ma una volta ti sei avvicinato abbastanza, te ne rendi conto che la realtá è ben diversa. I cechi si muovono, sai che sono materiali di rimpiego, sai che c’è qualcosa di diverso. Poi salta a gli occhi che i movimenti seguono un patrone, non si muovono a caso si muovono secondo le nostre azione, un sensore si incarica di questo registrando in tempo reale la nostra posizione nello spazio poi passa l’informazione via elementi elettronici al mecanismo che mete in moto la struttura. Weave Mirror, segue la medessima retorica, ma il materiale è diverso è una sorta di trecciato tipo le parete delle cappane tropicale, fate da fibre vegetali appunto trecciate. In questa opera sei piú cosciente di ció che accade e súbito cerchi di vedere come responde il materiale come si muove, come una onda che crea delle ombre; e se sei da solo, vedi che lí c’è la tua impronta il tuo profilo sul quadro, anche tu sei diventato arte, senza salire sulla base d’artista di Manzoni. L’ultima opera Thras Mirror, per il titolo si sa bene, è quella piú vicina a Swithers, al ready-made dadaísta. Delle latine e altri prodotti prensati configurano la supeficie, che di nuovo si muove secondo quello che faciamo. In un certo senso questo Pattern che ci fa fare parte dell’opera unisce un po’ l’ornamento con un fuggace argumento che finisce e cambia appena muovi un solo dito. E tutto grazie alla tecnica.

Nello spazio consecutivo il suono fatto ornamento entra in giouco. Ben Rubin (1964) e Mark Hansen (1964) si incaricano di fare un’istalazione in cui suono, tecnica, luce creano un’ambiente di mistero incredibile. Ricordate Matrix, Minory report, film in cui i dati scorrono come fiumi in primavera; dati che si muovono veloci attraverso le onde, attraverso tutto. Cui ne abbiamo l’oportunitá di vedere un pezzo di quei dati. Dei piccoli schermi a modo di rete, si presentano come una parete effimera. Sugli schermi immaginate, una serie di circa una ventina di colonne e nove file, diversi dati scorrono atraverso le file in un colore blu elettrico e una voce ripetitiva –ma no pensare nel monótono di Ives Klein, è molto diverso- contribuisce a creare l’ambiente di un continuo ornamento, carico di dati, carico di vita. (Listening Post, 2002-2006)

È il tempo di parlare di Chico McMurtrie / Amorphic Robot Works (New Mexico, USA, 1961) è della sua opera presente nella mostra Inflatable Architectural Body, 2008. Appena sono entrato nello spazio dove si presenta l’istalazione, solo mi è venuta una parola in mente GUTAI!!!!! Quel gruppo di artista giaponesi che giá negli anni 50 cercavano di risolvere il problema dell’arte nel corto secolo. Quelli che come Murakami, Yamamoto, Shiraga, Tanaka, ecc. Già cercavano di mettere la forza, energía nelle sue opere e anche usavano i nuovi materiale cioé la plástica e la gonfiavano, come fa McMaurtrie, dove una struttura di tubi di plástica uniti per diversi componente si muovono e palpitano grazie all’area che del suo interno, area dominta da compressori, abilmente ubicati. Una struttura nella qualle ti metti prorprio sotto, vedi come respira, questi artista sono dei nuovi Frankenstein, usano diverse parte per creare dei “mostri” che rivelano un mondo che vibra che non si ferma mai.

Il percorso ci indirizza alla pura interativitá. Con Evru (Barcelona, Spain, 1946) con l’opera Telura 4.0, 2008; Aplicación interactiva, 2008. Parlo di pura interattivitá perche è cosí, l’artista ci offre l’oportunitá di creare per mezzo di un programa informatico, creato con l’aiuto di un programmatore e grazie a una penna digitale. Penne che puoi prendere e disegnare ció che apparirá su uno schermo, ma non solo, anche si possono stampare e addirittura, qualche esempio forma parte dello spazio conceso per l’artista. Qualche persona potrevero parlare di una “democracia dell’arte” termini che personalmente, non mi piace usare, nel senso che l’arte anche se è una espresione di una civiltá si muove nei margini diversi della política. Ci sono dei termini che non si possono usare per parlare di ogni cosa, bisogna imparare a usare le parole giuste. Ma con questo tipo di opere si avvicina l’arte al pubblico perche come diceva Pirandello “la mia arte sei tu”, ma non vuole dire che tutti siamo artista. È l’idea di Evru quella che davvero rivela un’artista, noi usando il suo ingegno soltanto facciamo parte della sua arte. Anche se, ben è certo si potrebbe arrivare a qualcosa di artístico dentro di quell’opera d’arte, dunque bisogna riflettere, su questi termini. Abbiamo un opera d’arte che ci permete creare nel suo interno, abbiamo passato del universo della realtá, a un nuovo piano di realtá a un micro-universo, dove possiamo sempre creare dentro dello creato, ma il limite si trova proprio nell’opera d’arte dove si crea; quelle creazione derívate, non possono andare oltre, ma sí le idee che si formano da quelle.

Ma andando avanti –magari ci riflettero sul serio nei termini sopra iniziati, ma piú avanti-. David Byrme (Dumbarton, Scotland, 1952) e David Hanson (Dallas, Texas, USA, 1969) ci offrono un qualcosa di biomeccanico e cioé un robot vero é proprio che interattua con noi; ricordandoci che il nostro mondo è pieno di questi affari che ci aiutano nella vita, e per quello è proprio antropomórfico. Song for Julio, 2008.

Andando sempre oltre, entriamo in uno spazio mágico quasi preso da una scena blues, la scuritá che sempre è stata con noi venne rotta nel centro di uno spazio in cerchio, pero circa dodici microfoni, di quelli antichi che sono illuminati per delle lampadini direzionate con delle forme cilindriche. È un’istalazione che potrebbe sembrare diverse, non sai se accadrá qualcosa, come nelle altre opere. Ma poi decidi di avvicinarti vedere che cè che non va, e sentí l’impulso di parlare al micrófono e quando lo fai una luce che guadagna in intensitá e si espande per il tuo profilo; ma non è tutto dopo qualche secondo il micrófono ti parla e ripete ció che hai detto, in una retorica speziale, perche di solito il micrófono soltanto recive ma non emite. Quanto piú intendo parli, piú intenso è ció che ti arriva. Di tutto questo si incarica Rafael Lozano-Hammer (Mexico City, Mexico, 1967) è il capolavoro si chiama Microfonos subestructura 10, 2008.

Con John Maeda (Seatle, Washington,USA, 1966) trobbiamo ancora ancora, i diversi pattern, organici di quelli che vi ho parlato, proittati negli schermi piati, e sono tutti fatti con computer grafica, cisiamo lí in quell’unione anima&macchina, un unione che ci dice quello che siamo in questi anni.

Per finire ci aspettava Theo Jansen (The Hague, Holland, 1948), l’olandese noto per una famosa pubblicitá nella quale si vedeva alcune delle sue opera biomorfe, fatte grazie a una fibra di vetro molto flessibile. –sono di quelli che pensano nella publicitá o nei videoclip come le nuove incisione, questi sono i metodi di diffusione dell’arte, un modo semplice e económico di far vedere nuove idee. Prorpio come nei secoli precedenti si faceva attraverso le incisioni e i libri-. Cui abbiamo un video dove si puó vedere il processo costruttivo. In realtá, anche se molto interesante, sicuramente sia l’artista piú “tradizionale” della mostra. Ci sono anche due delle sue strutture, ma diversamente agli altri, in queste soltanto puoi vedere. Ma cosa vedi?? Vedi un biomorfismo único dei codici genetici applicate a forme create con un materiale flessibile. Questa unione di scienza e idee artistiche fa che hansen assomiglie un po’ una sorta di nuovo Leonardo, sopratutto per ció che si vede nelle sue opere in quanto a colore sono molto simile ai disegni dell’italiano anche se in questo caso non è nient’altro che una semplice asocizione.



[i] La pelle nell’ornamento (…) Gian Luica Tusini, 2008, Bologna.


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