jueves, 11 de septiembre de 2008

I can Only Imagine

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sachiko kodama



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Máquinas&almas Digital art and new media



http://www.museoreinasofia.com/s-artistas-contemp/home.php

The most beautiful thing we can experience is the mysterious. It is the source of true art and true science.

Albert Einstein.

Museo Nacional de Arte Contemporáneo Reina Sofía; exposición temporal hasta octubre 2008.

Immagina uno spazio mágico, dove niente sembra vero, dove tutto diventa gioco. Cosí è lo spazio della mostra Máquinas&almas. Uno spazio ovviamente controlato, con un percorso molto particolare. sebbenne ci troviamo davanti a una strada comune in montagna piena di curve di forme, appunto, ORGANICHE (parola d’ordine in questa mostra). Forme e curve che si muovono in un buio quasi religioso –nel senso egiziano della parola, come ben si conosce il tempo egiziano si svilupava in modo di creare un viatico in cui quanto piú vicino eri al sancta sanctorum piú scuro, piu chiuso era lo spazio-. In questo caso la scuritá serve per presentare la magia delle opere dinamiche in quella fusione di arte e scienza di cuí ci parla Einstein. Si trata di quel MISTERO che ci porta con curiositá a capire cos.a ci offrono gli artista presenti.

Tanto per cominciare di una parte, faró il mio percorso nella mostra soltanto un punto di vista, totalmente soggetivo non volendo fare altro che parlare di ció che suggeriva in me ogni opera, ogni passo nel sentiero delle scoperte.

Cosí, con coraggio, inizia il nostro percorso. Sachiko Kodama (Shizuoka, Japan, 1970), con un’opera chiamata Breathing caos, 2004. Uno schermo dove possiamo vedere il trionfo del ORNAMENT verso l’ARGUMENT –bataglia che ho potuto vedere grazie al prof. Tusini[i], dell’universitá di Bologna- ma soltanto è uno anunzio di ció che verrá presto appena giriamo un nella prima curva ormai immersi nel buio. Nello schermo delle forme fluide di mercurio quasi come se fossi una computer grafica si muovono creando dei pattern interattivi dove tutto diventa movimento. Sia il pattern sia il movimento la conquista dello spazio che in altro tempo era dominio assoluto del ARGUMENT ormai è diventato qualcosa di aperto. Un respiro caótico che si apre strada di modo deciso, con i calcoli precisi della sicenza appilicate a delle idee frutto di una contemporaneita palpitante desiderosa di crescere di mouversi di interattuare. Un soffio fondamentale che l’arte aveva bisogno. Ma questo non è una cosa nuova già ci sono degli esperimenti in questi termini a partire degli anni cinquanta dello scorso secolo. Basta ricordare le opere di artisiti italiani come (cerca quello fatto con mercurio di MARCONI???).

Ma come dicevo è soltanto un preanunzio di ció che sta per arrivare una volta giri a destra in quella strada delimitata da tende nere che lasciano intuiré, in un certo senso, ció che c’è al di là –di nuovo quel mistero, che ci porta alla curiositá, curiositá che si vede riempita di stimoli-. La prima cosa che salta alla vista è un terribili avviso, che parla della parte scientifica fondamentale di questa mostra, versa cosí: “le persone con bypass, per favore, tenersi lontane da questa zona, perlicolo di radiazione negativa”. Dopo di ché, vedi un cilindro in una struttura pseudoscultorica, una vera istalazione. Un cilindro aperto nel bel mezzo, ed è lí dove sucede la magia. Il PATTERN decide che la 2D non li basta e con passo deciso entra nella 3D Flatland che cresce si gonfia tutto organicitá. Tutto movimento. Il mettallo in stato liquido grazie a delle forze eletromagnetiche crea delle forme gonfiate, geometriche, bellissime, organiche naturali. Un metallo che respira proprio che si fa vivo.

Ci sono altre due istalazione di Kodama, piú piccole, ma sempre nella stessa retorica, in questo caso il materiale, nuovamente pericoloso –TOSSICO, dice l’avviso-, si configura di tal modo che appariscono dei volcani con quelle forme, quelle onde tridimensionali, motivo delle mie riflessione. E queste opere sono davvero magiche, davvero tecnologiche, davvero uniche piene di significati di come il mondo dell’arte si muove nella ricerva di un arte dove non solo serve la settecentesca bellezza, altri sono gli interesi, è l’interattività, è l’organico, è la scienza –anche se, questa sempre è andata accanto all’arte, basta ricordare Leonardo-, è la vita.

Ma sará meglio proseguire per il nostro percorso. Un nuovo elemento fondamentale anche entra in giouco, la LUCE, che viene offerta in un primo momento presso l’artista inglese Paul Friedlander (Manchester, England, 1951) con le opere Wave Function, 1991-2007, The enigm of light, 2008; e finalmente, Abstract cosmology, 2008. Niente si lascia al caso ed i titoli sono fondamentali hanno delle parole precise e chiare non solo per capire le opere –ci sono delle persone che ancora dicono di non capire l’arte contemporaneo, dunque gli artista cercano di aiutarli con dei titoli precisi- ma anche sono parole che definiscono una realtá, il mondo i cui si muove l’arte già abbiamo visto Breathing ossia la vitta, il Flow ossia il gonfiarsi. Ora abiamo L’ONDA, la LUCE, come l’ASTRATTO.

Quel Onda sono dei fili che si mouvono caoticamente, per una base elastica avviata per piccoli motori. I fili sono di diversi colori stridenti (neon, quei colori che giá negli anni 60 del ventessimo si usavano regularmente e che oggi abbiamo ovunque, nelle discoteche, nelle machine, nella publicitá) Fili che descrivono diverse linee, ma che mai si incrocciano, piccole variabili che sono il fondamento di quel piccolo KAOS.

Nel caso della LUCE, ricordate Newton e la sua scoperta della deframentazione della luce attraverso un cristalo, vero?, ora pensate in un dipinto típico del manierismo, in quanto a formato, cioé piú alto che largo. Bene, ora metete in quell’immagine dei prismi di critallo e sopra una luce direzionata a quei prismi. Ora vedrete che la luce entra si rompe nei diversi cristalli, creando degli effeti quasi gotici –il gotico potreve pensarsi come un perido di luce, che condiziona lo spazio, grazie allo sviluppo dell’architettura técnica, il muro perde il suo uso, e si possono meteré delle grande vetrine, piene di colore, per creare uno spazio vicino a quello che dovrebbe essere il Paradiso, almeno cosí la pensavano in quel momento-. Ma in questo caso la luce non cerca di creare un ambiente, in questo caso la luce cosí che la sperficie 2D cambie continuamente, con un pattern visuale, intangibili, di luce framentata e prismi materici di cristallo. Ancora ci siamo nella rivincita del PATTERN, è tempo di pensare su quel pattern. Riflettere sul nostro mondo grazie a quelle forme dinamiche che non ci disturvano con ARGUMENT discontinui.

Ma poi abbiamo ASTRATTO, che entra in comune rappoto don la luce, una cosmología che gira, come l’universo, come delle gallassie, in continua espansione. Una cosmología in spirale che gioca con pattern di luce ma che creano addirittura, dei numeri delle lettere, delle parole ben precise, agruppate, peró come se di un ornamento si trattasero. Poi guarda caso si scoprono a terra, se guardi quella spirale che pende dal tetto e si muove con la luce proietatta su di questa niente affato di fa pensare che lí ci siano delle parole, dei numeri, ma ci sono èccome. Se l’astrazione parte dalla realtá per poi appunto astraersi, qui abbiamo il processo alla rovescia. Da una luce che sembra astratta troviamo un significato preciso, un significato che addirittura è scientifico, sono dei dati –neopositivismo? Sicuramente. Ma abbiamo quel SEMBRA che sempre è prensente, sará per la nostra capacitá di asociazione di concetti-. Dimenticavo ora che parlo di asocizione, una che súbito mi vino in mente quando guardavo quest’opera, non è altro che la spirale che restringe quel spirale che usava Yayoi Kusama in uno dei suoi dipinti iniziali ma credo che qui si usa diversamente, se la Kusama cercava di restringere, qui si cerca di espandere di invadere tutto, e non c’è niente da fare, il pattern conquista, la vita si muove.

La luce continua essendo protagonista, e con quella le ombre –ci sono delle lampadine rovinate che collegati tra di esse creano una sorta di muro o parete traslucida, sulla quale una potente luce si proietta. Con questo e giàcche le lampadine per la sua natura è geometria non si prestano a una facile unione, abbiamo un gioco di ombre –in cui, questa volta sí, segue la retorica di creazione d’ambiente propria del gotico, anche se, invece di la luce, quello che importa di piú sono le ombre. Il Ying che vince al Yang- ma devo dire una cosa, tutte le persone che vedevo soltanto guardavano quel muro, dimenticavano l’ambiente in cui si muovevano, dimenticavano le ombre, ancora c’è molto da fare dobbiamo cambira lo chip con cui guardiamo l’arte. Dimenticavo dire che l’artista di quest’opera è lo spagnolo Daniel Canogar (Madrid, Spain, 1964).

Ora andiamo verso un’altro tipo di opere che tocano in un certo modo il ready-made, di tradizione dadaísta, ma dove la técnica piú innovativa –mi riferisco ai sensori di movimenti- si unisce a una interattivitá incredibili. Sono le opere di Daniel Rozin (Jerusalem, Israel, 1961). I titoli delle tre opere che si espongono sono molto espliciti: Circle Mirror, 2005; Weave Mirror, 2007; Trash Mirror, 2002-2008. Abbiamo un’altra parola chiave MIRROR, guarda caso anche vediamo ONDA (questo ci parla della coerenza che c’è nell’arte, anche se è soltanto un piccolo esempio, ma esiste davvero, basta saper trovare in mezzo al CAOS le variabile precise). In Circle Mirror, abbiamo un quadro che in inizio sembra soltanto il típico dipindo neoastratto decorativo, in cui un pattern ornamentale a base di cerchi configura la superficie. Ma una volta ti sei avvicinato abbastanza, te ne rendi conto che la realtá è ben diversa. I cechi si muovono, sai che sono materiali di rimpiego, sai che c’è qualcosa di diverso. Poi salta a gli occhi che i movimenti seguono un patrone, non si muovono a caso si muovono secondo le nostre azione, un sensore si incarica di questo registrando in tempo reale la nostra posizione nello spazio poi passa l’informazione via elementi elettronici al mecanismo che mete in moto la struttura. Weave Mirror, segue la medessima retorica, ma il materiale è diverso è una sorta di trecciato tipo le parete delle cappane tropicale, fate da fibre vegetali appunto trecciate. In questa opera sei piú cosciente di ció che accade e súbito cerchi di vedere come responde il materiale come si muove, come una onda che crea delle ombre; e se sei da solo, vedi che lí c’è la tua impronta il tuo profilo sul quadro, anche tu sei diventato arte, senza salire sulla base d’artista di Manzoni. L’ultima opera Thras Mirror, per il titolo si sa bene, è quella piú vicina a Swithers, al ready-made dadaísta. Delle latine e altri prodotti prensati configurano la supeficie, che di nuovo si muove secondo quello che faciamo. In un certo senso questo Pattern che ci fa fare parte dell’opera unisce un po’ l’ornamento con un fuggace argumento che finisce e cambia appena muovi un solo dito. E tutto grazie alla tecnica.

Nello spazio consecutivo il suono fatto ornamento entra in giouco. Ben Rubin (1964) e Mark Hansen (1964) si incaricano di fare un’istalazione in cui suono, tecnica, luce creano un’ambiente di mistero incredibile. Ricordate Matrix, Minory report, film in cui i dati scorrono come fiumi in primavera; dati che si muovono veloci attraverso le onde, attraverso tutto. Cui ne abbiamo l’oportunitá di vedere un pezzo di quei dati. Dei piccoli schermi a modo di rete, si presentano come una parete effimera. Sugli schermi immaginate, una serie di circa una ventina di colonne e nove file, diversi dati scorrono atraverso le file in un colore blu elettrico e una voce ripetitiva –ma no pensare nel monótono di Ives Klein, è molto diverso- contribuisce a creare l’ambiente di un continuo ornamento, carico di dati, carico di vita. (Listening Post, 2002-2006)

È il tempo di parlare di Chico McMurtrie / Amorphic Robot Works (New Mexico, USA, 1961) è della sua opera presente nella mostra Inflatable Architectural Body, 2008. Appena sono entrato nello spazio dove si presenta l’istalazione, solo mi è venuta una parola in mente GUTAI!!!!! Quel gruppo di artista giaponesi che giá negli anni 50 cercavano di risolvere il problema dell’arte nel corto secolo. Quelli che come Murakami, Yamamoto, Shiraga, Tanaka, ecc. Già cercavano di mettere la forza, energía nelle sue opere e anche usavano i nuovi materiale cioé la plástica e la gonfiavano, come fa McMaurtrie, dove una struttura di tubi di plástica uniti per diversi componente si muovono e palpitano grazie all’area che del suo interno, area dominta da compressori, abilmente ubicati. Una struttura nella qualle ti metti prorprio sotto, vedi come respira, questi artista sono dei nuovi Frankenstein, usano diverse parte per creare dei “mostri” che rivelano un mondo che vibra che non si ferma mai.

Il percorso ci indirizza alla pura interativitá. Con Evru (Barcelona, Spain, 1946) con l’opera Telura 4.0, 2008; Aplicación interactiva, 2008. Parlo di pura interattivitá perche è cosí, l’artista ci offre l’oportunitá di creare per mezzo di un programa informatico, creato con l’aiuto di un programmatore e grazie a una penna digitale. Penne che puoi prendere e disegnare ció che apparirá su uno schermo, ma non solo, anche si possono stampare e addirittura, qualche esempio forma parte dello spazio conceso per l’artista. Qualche persona potrevero parlare di una “democracia dell’arte” termini che personalmente, non mi piace usare, nel senso che l’arte anche se è una espresione di una civiltá si muove nei margini diversi della política. Ci sono dei termini che non si possono usare per parlare di ogni cosa, bisogna imparare a usare le parole giuste. Ma con questo tipo di opere si avvicina l’arte al pubblico perche come diceva Pirandello “la mia arte sei tu”, ma non vuole dire che tutti siamo artista. È l’idea di Evru quella che davvero rivela un’artista, noi usando il suo ingegno soltanto facciamo parte della sua arte. Anche se, ben è certo si potrebbe arrivare a qualcosa di artístico dentro di quell’opera d’arte, dunque bisogna riflettere, su questi termini. Abbiamo un opera d’arte che ci permete creare nel suo interno, abbiamo passato del universo della realtá, a un nuovo piano di realtá a un micro-universo, dove possiamo sempre creare dentro dello creato, ma il limite si trova proprio nell’opera d’arte dove si crea; quelle creazione derívate, non possono andare oltre, ma sí le idee che si formano da quelle.

Ma andando avanti –magari ci riflettero sul serio nei termini sopra iniziati, ma piú avanti-. David Byrme (Dumbarton, Scotland, 1952) e David Hanson (Dallas, Texas, USA, 1969) ci offrono un qualcosa di biomeccanico e cioé un robot vero é proprio che interattua con noi; ricordandoci che il nostro mondo è pieno di questi affari che ci aiutano nella vita, e per quello è proprio antropomórfico. Song for Julio, 2008.

Andando sempre oltre, entriamo in uno spazio mágico quasi preso da una scena blues, la scuritá che sempre è stata con noi venne rotta nel centro di uno spazio in cerchio, pero circa dodici microfoni, di quelli antichi che sono illuminati per delle lampadini direzionate con delle forme cilindriche. È un’istalazione che potrebbe sembrare diverse, non sai se accadrá qualcosa, come nelle altre opere. Ma poi decidi di avvicinarti vedere che cè che non va, e sentí l’impulso di parlare al micrófono e quando lo fai una luce che guadagna in intensitá e si espande per il tuo profilo; ma non è tutto dopo qualche secondo il micrófono ti parla e ripete ció che hai detto, in una retorica speziale, perche di solito il micrófono soltanto recive ma non emite. Quanto piú intendo parli, piú intenso è ció che ti arriva. Di tutto questo si incarica Rafael Lozano-Hammer (Mexico City, Mexico, 1967) è il capolavoro si chiama Microfonos subestructura 10, 2008.

Con John Maeda (Seatle, Washington,USA, 1966) trobbiamo ancora ancora, i diversi pattern, organici di quelli che vi ho parlato, proittati negli schermi piati, e sono tutti fatti con computer grafica, cisiamo lí in quell’unione anima&macchina, un unione che ci dice quello che siamo in questi anni.

Per finire ci aspettava Theo Jansen (The Hague, Holland, 1948), l’olandese noto per una famosa pubblicitá nella quale si vedeva alcune delle sue opera biomorfe, fatte grazie a una fibra di vetro molto flessibile. –sono di quelli che pensano nella publicitá o nei videoclip come le nuove incisione, questi sono i metodi di diffusione dell’arte, un modo semplice e económico di far vedere nuove idee. Prorpio come nei secoli precedenti si faceva attraverso le incisioni e i libri-. Cui abbiamo un video dove si puó vedere il processo costruttivo. In realtá, anche se molto interesante, sicuramente sia l’artista piú “tradizionale” della mostra. Ci sono anche due delle sue strutture, ma diversamente agli altri, in queste soltanto puoi vedere. Ma cosa vedi?? Vedi un biomorfismo único dei codici genetici applicate a forme create con un materiale flessibile. Questa unione di scienza e idee artistiche fa che hansen assomiglie un po’ una sorta di nuovo Leonardo, sopratutto per ció che si vede nelle sue opere in quanto a colore sono molto simile ai disegni dell’italiano anche se in questo caso non è nient’altro che una semplice asocizione.



[i] La pelle nell’ornamento (…) Gian Luica Tusini, 2008, Bologna.


miércoles, 3 de septiembre de 2008

Complot (www.tenemosunplan.com) - The Independent.


"No hables. No toques. No camines. No camines por la noche. No camines por la derecha. No bebas. No pienses. No fumes. No tomes drogas. No comas carne. No comas comida basura. No estés gordo. No estés delgado. No masques. No escupas. No nades. No respires. No llores. No sangres. No mates. No experimentes. No existas. No hagas nada. No frías la comida. No frías tu cerebro. No te sientes tan cerca de la tele. No pises el césped. No pongas los codos sobre la mesa. No pongas los pies en la silla. No corras con tijeras y no juegues con fuego. No seas rebelde. No pegues. No toques. No te masturbes. No seas infantil. No seas viejo. No seas normal. No seas diferente. No destaques. No abandones... No compres, no leas".

Magnífico anuncio deLowe Howard-Spink para el Independent.

Touching The Void

Esta es una de las mejores películas documentario que he visto, sobretodo en lo que respecta a impacto emocional. Cierto que se trata de un tema muy cercano a mi, pero aún así. Se trata de la historia de dos jóvenes que se van a Perú con intención de escalar el Silua Grande por su cara todavía virgen. Nadie había coseguido llegar a la cima aunque muchos lo habían intentado. En meitad de la expedción suceden cosas increibles. Si tenéis algo de tiempo os lo recomiendo, se llama Touching the void, o en la versión española Tocando el Vacio.

Los dos vídeos siguientes son un pequeño resumen, no los veáis si tenéis intención de ver la peli. Como dicen en Wikipedia se desvela parte del argumento, xD es uno de los climax.

Generación Y

Esto va para vosotros, para mi, todos pertenecientes a eso que se ha dado en llamar, generación Y, generación de internet, de google... os habéis fijado en que casi se podría decir que somos el embrión de los futuros cyborgs. Uso esta salvaje afirmación, para llamar vuestra atención. Hemos hecho de la tecnología una parte muy importante de nuestras vidas, por lo general antes de salir de casa procuramos no haber olvidado el móvil, que en algunos casos son DOS... escuchamos música en MP3, iPod, y otros diversos dispositivos, captamos la realidad con nuestras cámaras digitales. Algunos que tienen coche, inundan su salpicadero con display del tipo GPS, TOM-TOM, reproductores multimedia, etc.

Fijaros por la calle seguro que podéis encontrar fácilmente a alguien con unos cascos, con unos auriculares en las orejas- !qué casualidad¡ unos cables que salen de su cuerpo, metafóricamente hablando es como si estuvieramos delante de un cyborg-. Hemos llevado la tecnología artificial hacia nosotros mismo, como extensiones de nuestro propio cuerpo. Tenemos acceso a una cantidad ingente de datos, hemos visto el boom de internet, conocemos muchos datos -muchos más que nuestros padres a nuestra misma edad- y lo mejor de todo es que somos conscientes de ello.

Pero no os dejéis llevar por la euforia. Tenemos que aprender a controlar esos canales de información, o mejor tenemos que aprender a adaptarnos a esa información, cogiendo aquello que nos interese o nos veremos perdidos en un mundo de datos.

Este tipo de cosas ya se venían anunciando. Como no, os pongo un ejemplo en el mundo del arte, otra vez dentro del grupo Gutai, la artísta Tanaka, que hizo una performance increible en el '57 se puso un vestido hecho con neones, como si fuera un verdadero sayan antes de hacer un kamehamehaaaaaaaaaa. Hacía dibujos que de verdad parecen circuitos y placas bases... una verdadera visionaria del Hightech en el que hoy nos movemos y que como no tiene su representación en el arte, como la artista japonesa Mori que en los años noventa ha realizado cosas increibles.

Esta es sólo un pequeño esbozo de una gran idea, que tal vez desarrolle de un modo más detallado, pero ahora sólo me interesa deciros que estamos aquí y aunque algunos de nostros, los más viejunos, hemos conocido otro tipo de realidad un poco más distinta, seguimos entrando en ese mismo mundo en el que cada vez más nuestra parte derecha del cerebro se ve potenciada.

Takashi Murakami

:) xD ;) :[ :o :_( :( o:) :D =) >( ]:) :*

Estos sólo son unos pequeños ejemplos de algo a lo que estamos muy acostumbrados, el uso de imágenes para expresar nuestros sentimientos en este formato digital llamado internet, o en los teléfonos móviles, incluso ha conquistado el mundo de las cartas tradicionales. Bien es cierto que este tipo de comunicación no es demasiado novedosa, la escritura por medio de imágenes es muy antigua, desde los jeroglíficos egipcios hasta los rodillos de marcaje mercantil mesopotámico.

Lo interesante es ver como en nuestra contemporaneidad, este tipo de imágenes han pasado a resumir estados de ánimo de una manera fascinante. Fijaros como esos monigotes de Takeshi Murakami, son idénticos a nuestro modo de comunicación, esas flores caracterizadas. Es la revelación de un cambio en los modos de lenguaje y la comunicación reflejo de un mundo cada vez más basado en la imagen.

Dicen que una imagen vale más que mil palabras, yo os digo que en ocasiones sería mejor decir esas mil palabras. No dejéis de pensar, no paréis de reflexionar.

Videoarte-Minimalismo

Bueno hoy quiero hablaros de algo que apareció como movimiento en los años sesenta, el Minimalismo -hoy gracias a Ikea y otros todavía se ven tendencias de tipo minimal, pero con un sentido distinto- Si buscáis en internet cualquier imagen de Bob Morris, Donal Judd, Lewitt, veréis ejemplos del minimalismo más puro.

Pero ¿qué es el minimalismo? es, como no, una respuesta al querido objeto de la PopArt, en este caso la respuesta se hace por vía de la negación, de la cancelación de la prohibición -si queremos ser radicales-. Entonces esas estructuras, de ángulos rectos, volúmenes netos, que recuerda en mucho al constructivismo... no es más que una barrera que niega y esta es su máxima aportación no va mucho más allá.

Es un tipo de experiencia artística que se adapta muy bien al diseño en el sentido que esta centrado en la forma y se olvida un poco de la idea. Creo que ya lo he comentado pero Flauvert veía el arte en el equilibrio entre forma e idea.

Por otra parte como barrera es algo que nosotros podemos revitalizar, en el caso de las construciones minimalistas urbanas a través del movimiento, invadiendo su espacio, con el arte del movimiento y así usar esa negación, paradójicamente, de una nueva afirmación de una nueva humanización.

Yoko Ono y Fluxus



- coge un teléfono en el que puedas escuchar tu voz y habla contigo mismo al menos cinco minutos al día.

- pide a todo un pueblo que piensen en la palabra sí durante treinta segundos.

Frases, órdenes como estas se encuentran en un pequeño y delicioso libro escrito por Yoko Ono, sí, sí, esa figura conocida sobretodo como destructora de bandas míticas, mujer de John Lenon, pero que mucho antes de conocerse ya ejercía una importante actividad como artista.

¿para qué pondré esas sentencias, consejos, como los queráis llamar? os preguntaréis, la razón es muy simple, ya que el objetivo de ese libro llamado Grapefruit, no es más que el desbloqueo neuronal, el ir un paso más allá, el salir de nuestra estupidez diaria. Ahora entenderéis que es algo que entra un poco en la línea de lo que os ido comentando estos días. Yoko Ono es un personaje muy peculiar, una de sus obras me ha sorprendido mucho se trata de una punta, en una base de metacrilato y un mensaje lapidario a modo de nombre que dice FORGOT IT, si puedes, yo no soy capaz de olvidarlo. Por no hablar de ese maravilloso juego de ajedrez de fichas blancas -en el que en algunas fotos aparece jugando con John Lenon, sí sólo blancas y quién gana, se puede preguntar alguien. Qué nos importa!! nada.

Volviendo un poco a la idea de ese debloqueo neuronal, quiero comentaros un poco una experiencia fantástica, el fenómeno FLUXUS, nos encontramos en NEW YORK y un grupo de artistas quiere abandonar el museo. No se les ocurre otra manera que enviar por correspondencia maletines-obras de arte (hecho que recuerda la genial maletín que preparó Duchamp -creador del Dadaismo una de la vanguardias históricas- en él había reproduciones de sus creaciones más significativas). Estos maletines funcionaban como instrumentos de desbloqueo neuronal, desde uno en el que cajas opacas con agujeros invitaban a averiguar lo que había en su interior, hasta un maletín en el que se recogían objetos para meterselos por el culo, por no hablar del Kit para el suicidio. Por lo que vemos tenemos en estos ejemplos, el hecho de lo desconocido, la curiosidad inherente al ser humano, la parete tactil, sexual, y sí el componente del dolor. Todo ello con el único objetivo de despertarnos...

Para más información no dudéis en preguntar

martes, 2 de septiembre de 2008

Scarlett Johansson - Speed Painting by Nico Di Mattia

Hoy os traigo una experiencia de tipo artístico-artesanal, surgida del mundo de la informática, se trata del speedpainting: con ayuda de un software determinado se pueden crear figuras impresionantes en muy poco tiempo. Sobretodo quería enseñároslo por lo impresionante de la técnica más que por su valor artístico elevado. Un valor que le otorgo como sujeto, por lo tanto una declaración bastante subjetiva.

Así os puedo decir que para mi todo artista es un artesano, ya que domina una técnica, pero además es capaz de conseguir mostrar algo más allá. Es decir, el artista es capaz de resumir su mundo, de anticipar lo que está por venir; pero no sólo eso, también de crear experiencias estéticas, factor primordial en el arte. Como decía Flauvert el arte se mueve en equilibrio entre la idea y la forma.

MURAKAMI,Saburo

EL video del día ya es una experiencia artística pura y dura. Se trata del remake de una performance realizada por primera vez por Murakami en los años '50 (no confundir con Takashi Murakami, que es e artista que hizo el anuncio que puse en el primer comentario). Murakami pertenece al llamado grupo Gutai que era un conjunto de artistas japoneses que anticipan las experciencias del performance y la instalación.

Son experiencias muy particulares llenas de enrgía, pero en la que nosotros como espectatores nos mantenemos al margen, solo somos partícipes desde un punto de vista visivo. Si os dais cuenta en el video aparece el artista y empieza a romper unos paneles de cartón, con movimientos casi coreográfico, por lo menos dramatúrgicos, carga el hecho de expresividad además de una potente energía. Lejos del hecho que recuerde a esas pruebas de Humor Amarillo o nuetra versión del Gran Prix. Me parece que aquí se ve claramente lo que os he dicho en los días precedentes con esos ejemplos de Zabriskie Point o Jimi Hendrix; por medio de un acto energético se ataca al obejto de una manera radical. En este caso el artista se mete en el interno de ese pasillo velado y tiene que salir de él, es casi como un nuevo nacer, el renacer del cuerpo. Lo más curioso es que todavía estamos lejos del fenómeno de la Bodyart pero aquí ya vemos como se va codificando.

Por otro lado también quiero haceros ver un detalle, esos paneles destrozados se venden y la gente los compra como si se tratara de arte, pero en realidad eso no es arte es tan solo el resultado de un Happened esa es la palabra una energía desencadenada en un momento que da como resultado eso pero nada más, no se trata de un Happening que se mantiene en el tiempo. Basta ver que el video es un REMAKE, es decir que ha tenido que volver a realizar una situación similar. Si no fuera por el video nosotros no podríamos entender nunca esa obra, que en sí como papel roto no es nada más que eso, aunque es importante una vez hemos entendido que es lo que ha desencadenado su ruptura. Es por así decirlo como la Historia conocer datos parciales no ayuda de nada para explicar como funcionaba el mundo.

Espero que os guste.

Si el vocabulario que uso es demasiado técnico, decirlo y trataré de poner ejemplos y explicaciones más adecuadas.

Jimi Hendrix - Wild Thing (live) (Guitar Sacrifice)

Hoy os traigo una experiencia de tipo performance que hizo el genial Jimmy Hendrix en Monterrey en el 67 (Jorge me parece que lo de Woodstock era de los Who que hicieron una cosa parecida). Además de disfrutar de una canción fantástica, mientras leeis estas palabras, daros cuenta de una cosa que hace al final del video nuestro gran genio, coge la guitarra y se empieza a mover compulsivamente como poseido por una energía incontrolable, esa energía de la que hablaba Jim Morrison (Doors) de la que ya se habían dado cuenta desde los integrantes del movimiento artistico japones Gutai hasta Beuys con sus performance plagadas de una lógica aplastante.

Pero fijaros bien en lo que le está haciendo a la guitarra, se la está literalmente follando, de una manera salvaje, se está apropiando de ella, una vez más una apropiación del objeto y luego con un gesto muy propio de Beuys la quema en un acto casi chamánico, es decir primitivo, de la tierra; esa tierra de la que hemos sido arrancados por el objeto. Y fijaros que no es el único ejemplo, en la gran peli de Copolla del 1979, Apocalypsie Now,[entrar en el perfil de Jorge Astudillo y podréis ver de lo que os hablo, lo ha colgado en su blog el video al que me refiero] se ya en la primera escena ese sentimiento lleno de una energía incontenible, esa escena del aterrizaje del helicóptero en medio de un bombardeo y ¿qué es lo que se escucha de fondo? nada más y nada menos que la musica de Doors, debéis saber que las letras creadas por Jim Morrison son un gran medio para conocer lo que pasaba en el mundo decía Jim Morrison: "en ese año, sentíamos una gran carga de energía" -no es una cita literal, tan solo una interpretación mía pero la idea era esa, ya os escribiré algunas frases de Morrison-. Además aunque Apocalypsie Now se grabara en el 79 la idea viene del '69 como una película-manifiesto de una època y de una generación.

Disfrutar.

Zabriskie Point - Love Scene

Despues de un tiempo buscando esta escena al fin he dado con ella. Como había comentado en la anterior entrada, en esta escena se desencadena un grito poderoso del cuerpo en toda su esencia, en un acto de pura comunicación. El objeto ha sido destruido, hemos recuperado nuestra humanidad, una humanidad que se encuentra en la tierra, en nosotros mismos.

Y esta escena es sólo una pequeña muestra de aquello que los artistas a partir de los años cincuenta del siglo veinte, estaban cansados de hacernos ver.

Zabriskie Point - Exploding Stuff

Bueno hoy os pongo uno de esos reflejos del arte contemporáneo en los medios de masa, se trata de una escena del final de la peli de Antonioni de Zabrikie Point, en ella como se ve todo empieza a explotar en un claro riferimento al odio al objeto surgido en las contracorrientes del popart -que en cambio ama al objeto hasta el punto de elevarlo en un pedestal de glorificación-.

En esta escena se ve como explotan esos objetos tan amado por Andy Warholl y Cia. el frigorifico, objetos de consumo que se ven poseidos por la energía de la explosión. Todo ello aderezado con la música de Pink Floyd que cuadra perfectamente en este contexto, escuchar como la guitarra emite un grito de desesperación como queriendo decir: Basta !hasta aquí hemos llegado¡

En la siguiente escena que no he encontrado en youtube, aparece la situación lógicamente consecutiva, una vez destruido el objeto que nos ha separado de nosotros mismos, tenemos que recuperar la umanidad y de ahí la orgía que se desencadena como acto de la más absoluta humanidad.