non ho potuto non fare caso a questo meraviglioso articolo redatto da Blane e tradotto da Frog un traceur italiano che ho potuto leggere su http://www.parkour.it
Per ció voglio pubblicare queste parole:
COMUNI DENOMINATORI - di Chris Rowat
È sempre più chiaro per me che, dal di fuori, ogni singolo praticante di Parkour appare come parte di una più ampia collettività sotto lo stesso ombrello. È solo con una più attenta ispezione che è possibile vedere che così tanti di noi stanno facendo cose diverse, scegliamo però di usare la stessa parola per definire cosa stiamo effettivamente facendo.
Bene, secondo me nessuna di queste definizioni, motivazioni o ragioni di praticare è più giusta o migliore di nessun altra, perché penso sia importante che noi tutti seguiamo il nostro percorso personale e facciamo ciò che ci rende felici. È interessante, però, che individualmente abbiamo trovato tutti qualcosa che ci attira verso questa stessa parola [Parkour, N.d.T.] che poi pieghiamo a significare qualcosa di leggermente diverso per ognuno di noi.
Cosa stai facendo? È una domanda che mi ritrovo spesso a farmi quando mi alleno e, ogni volta, tendo a rispondere in un modo un po’ diverso. Non c’è una risposta definitiva e semplice a questa domanda per me e penso che molti di voi abbiano provato la stessa cosa quando qualcuno vi ha interrogati su cosa stiate facendo.
Parkour. tende ad essere la pronta risposta che sento me stesso e gli altri usare più frequentemente. E, Oh! Quella roba di corsa libera [freerunning, nel testo] dove si salta dai palazzi, giusto? Fai un backflip! È sfortunatamente una delle più comuni risposte a cui la parola Parkour induce.
Ma, se noi stessi non siamo d’accordo su cosa stiamo facendo, come gruppo, allora come possiamo aspettarci che lo faccia la gente comune?
Dovete ammetterlo la parola stessa non è particolarmente attraente o semplice da dire, quindi credo sia qualcos’altro nella disciplina stessa che attrae tanta gente a sé e la definisca come praticante di Parkour. Un denominatore comune che ci unisce, se volete.
Gli sport estremi sono relativamente nuovi e sono diventati sempre più popolari man mano che la gente si è trovata davanti lavori sempre più deprimenti e insoddisfacenti. I ‘Guerrieri dei Weekend’ sono dappertutto e ne conoscerete qualcuno, ne sono sicuro. Sono quelli che lavorano dal lunedì al venerdì e usano i finesettimana per scappare e provare a compensare le loro tediose settimane saltando giù dagli aeroplani o scalando le facciate di un dirupo, in Galles.
Con livelli di obesità e depressione sempre tanto alti, alcolismo e uso di droga, con un’élite di pochi che ci dice come vestirci, dove andare e come pensare… è poi una sorpresa così grande se così tanti tra noi cercano uno sfogo e un modo di scappare da tutto questo?
Potrebbe essere la libertà associata al Parkour che ci unisce, allora? Il fatto che non facciamo uso di particolari attrezzature significa che non c’è tavola, ruota, supporto e manubrio a condizionarci o limitarci. Non c’è motivo di evitare determinate superfici, condizioni meteorologiche o luoghi. Non c’è posto dove non possiamo andare, niente che non possiamo usare – le variabili che rovinano gli altri sport portando alcune attività ad un’interruzione, sono le cose che cerchiamo volontariamente per sfidare noi stessi. Ci impegniamo in quelle che verrebbero spesso considerate condizioni difficili e questo rende il Parkour così attraente e accessibile alle masse.
Se stiamo solo provando a soffocare una qualche primordiale sete d’avventura e libertà, è solo naturale che così tanti di noi siano attirati da qualcosa dove tanta libertà, fisicità, miglioramento personale e coraggio sono così ampiamente impiegati e apprezzati.
La maggior parte di noi, come esseri sociali, è contenta di interagire con gli altri. Ci piace essere parte di qualcosa… così dopo un’iniziale esperienza di Parkour, i traceur [individuals, nel testo] spesso si ritrovano su uno dei tanti forum o comunità online, che crescono in numero giorno dopo giorno, provando a cercare nuove risposte.
Tragicamente, il loro neonato senso di libertà e eccitazione inerente alla scoperta del Parkour è molto spesso distrutto quando si uniscono al nostro gruppo. Ognuno gli dice cos’è che stanno facendo e cosa dovrebbero fare. Non sono più sul loro percorso individuale, caricati da un momento di ispirazione, ma sono improvvisamente reindirizzati su quello preparato da qualcun’altro.
Il perché inizialmente si siano attivati e abbiano deciso di esplorare il loro potenziale riguardante il movimento non è più la loro forza motrice, i loro obiettivi si sono modificati man mano che hanno scoperto sempre di più riguardo al Parkour.
Ironicamente, invece di conservare la loro individualità e perseguire i propri obiettivi, questa gente prova a conformarsi a un ideale a cui nessuno può accordarsi! Ma c’è conforto nella folla, la forza del numero e la soddisfazione sentite quando si è parte di qualcosa.
Sono ugualmente colpevole come tutti. Io volevo trovare i ‘segreti’ per divenire un grande nel Parkour e scoprire sempre di più riguardo la disciplina, piuttosto che esplorare come posso diventare grande in quello che è ciò che io voglio fare… e avere successo nell’essere ciò che voglio essere.
Quindi, la ragione per cui credo che abbiamo così tante diverse definizioni di Parkour è dovuta al fatto che conserviamo una parte della nostra individualità e proviamo a fare le cose che ci appartengono – ma allo stesso tempo vogliamo mantenere il nostro posto nel gruppo così possiamo dichiarare di essere parte di qualcosa di più grande. ‘Parkour’ diventa ciò che tutti facciamo, a dispetto del fatto che ci stiamo muovendo tutti in direzioni diverse, per ragioni differenti.
Ad ogni modo abbiamo qualcosa in comune. Ciò che ci unisce è il movimento. È ciò che facciamo col movimento e le nostre ragioni di sviluppare le nostre capacità fisiche e mentali, attraverso il movimento, che è unico per ognuno. Se lo chiamiamo Parkour, Freerunning, L’art du deplacement o anche ‘Rage Froobling’ [?, N.d.T.] è irrilevante. Le parole sono sopravvalutate e usate male. Alla fine credo che ciò che conta è che conserviamo tutti la nostra individualità e facciamo ciò che ci rende felici, ed evitiamo di rinchiuderci nelle definizioni e nei termini.
‘Io pratico Parkour’, e ad oggi credo che ciò che sto facendo è molto vicino a cosa i fondatori (o il fondatore) si proponevano, ma se domani fosse rilasciata una definizione ufficiale e differisca dai miei obiettivi, non mi porterebbe a chiamare in modo diverso ciò che faccio. Sono contento di esser parte di un gruppo che condivide una passione per il movimento, ma credo che meno del 5% delle persone che ho incontrato e con cui mi sono allenato pratichino per le stesse ragioni e per le mie stesse ragioni.
E questa è una cosa buona.
Sii te stesso; ogni altro è già stato preso. – Oscar Wilde
-Blane»